Franco Pedrina

Dino Buzzati

Un incontro che rallegra. Padovano, il trentatreenne Pedrina con una pittura che è ai limiti dell’astratto ricorda le campagne della sua patria. E’ notevole per tre motivi. Primo, il modo del tutto personale e nuovo di tradurre le impressioni naturalistiche in un arioso mosaico di tasselli o di arboree sagome. Secondo, la preziosità del gusto per i cui i suoi quadri danno piacere agli occhi con raffinato gioco di toni che non è fine a se stesso anzi serve esclusivamente ad evocare i campi, le seminagioni, i frutteti, la luce dei cieli veneti. Terzo, la complessiva serenità spirituale (finalmente, se Dio vuole) per cui anche i temi tragici - una scena di campo di sterminio per esempio - si risolve istintivamente in un viluppo vegetale, in una pietosa liberazione, perfino in un prorompere di fiori. I numi della critica mi perdonino, ma è quella che si dice una pittura simpatica.

(in «Corriere della Sera», 28 aprile 1968)

 

 

 


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